Ho sempre ritenuto le elezioni presidenziali brasiliani delle vere pagliacciate. Primo perché, pur disponendo di uno strumento moderno come la urna elettronica, la possibilità di manipolare i voti é sempre molto alta. Poi perché la maggior parte dei candidati sono dei veri e propri pagliacci. Se noi in Italia abbiamo avuto Berlusconi o Cicciolina, qui in Brasile i vari personaggi sono di un ridicolo tale da sembrare artisti di cabaret o di programmi comici. Poi c'é questa idea dei brasiliani di votare chiunque, basta che dica qualcosa d'interessante. Non importa che sia un giudice, un sindacalista o un pastore evangelico. Basta che faccia qualche apparizione in TV, affermando che con la sua elezione finirà la corruzione o la povertà, ed ecco che una folla d'idioti lo acclamino come futuro presidente del Brasile. Non si rendono conto che, pur essendo questo paese a carattere presidenziale, non é quella persona al comando che cambierà le cose, ma dovrebbero essere proprio loro, come cittadini, a voler modificare la situazione. Ma come dico sempre, allora non sarebbe il Brasile.
Se anche i brasiliani avessero avuto uno shock nel vedere un ex personaggio di The Apprentice eletto alla Casa Bianca, lo avrebbero già superato. Nel paese più grande dell’America Latina due popolari potenziali candidati alle elezioni presidenziali sono infatti stati conduttori di O Aprendiz, la versione brasiliana del programma televisivo. Un altro candidato che ha un seguito entusiasta è poi un membro del Congresso appassionato di Twitter, che ha detto che la dittatura militare negli anni Settanta sbagliò a torturare i dissidenti: avrebbe dovuto ucciderli direttamente. C’è poi un chirurgo plastico conosciuto come Dr. Hollywood che, nonostante il suo portoghese abbia un pesante accento americano, pensa di avere delle possibilità: e perché no?
Il Brasile sta cercando disperatamente un leader «esterno alla politica», spiega Jefferson Santos, un assistente di cucina 29enne che viene da Planaltina, una delle povere e violente città satellite intorno alla capitale Brasilia. «Il paese è un disastro. Ci vuole qualcuno che lo ripulisca», ha aggiunto Santos.
In Brasile, come in gran parte del resto del mondo, il disprezzo per lo stile di governo tradizionale sta montando da anni. All’inizio del 2015 l’economia brasiliana è precipitata nella peggiore recessione mai registrata – i postumi del boom di materie prime del decennio scorso – da cui non è ancora uscita. L’enorme indagine sulla corruzione – “Lava Jato” – ha coinvolto importanti personalità del paese, come l’ex presidente Luiz Inácio Lula da Silva. L’anno scorso il suo successore, Dilma Rousseff, ha subìto il procedimento di impeachment. L’attuale presidente, Michel Temer, sta cercando di stabilizzare le finanze del paese adottando drastiche misure di austerità in mezzo a una serie di scandali di corruzione che in meno di otto mesi hanno portato alla rimozione di sei dei suoi ministri. Il suo tasso di approvazione, prevedibilmente, è in calo. «Il Brasile sta attraversando una crisi di rappresentanza: gli elettori non si sentono rappresentati dai loro politici», ha detto Alessandro Janoni, responsabile della ricerca dell’istituto di sondaggi Datafolha. Le elezioni comunali che si sono tenute tre mesi fa hanno mostrato quanto basso sia il gradimento dei brasiliani per le scelte a loro disposizione: in Brasile il voto è obbligatorio e un numero record di elettori ha votato scheda bianca o nulla.
Già in passato i brasiliani avevano dato segni di stanchezza. Nel 1988 Macaco Tiao, uno scimpanzé dello zoo di Rio de Janeiro, arrivò terzo alle elezioni comunali della città, quando 400mila persone scrissero il suo nome sulla scheda elettorale. Nel 2010 Tiririca, il nome di scena del pagliaccio di un circo, fu eletto al Congresso ottenendo più voti di qualsiasi altro parlamentare, dopo essersi candidato con lo slogan “Peggio di così non può andare”. Da allora, invece, in Brasile le cose sono peggiorate e l’umore nazionale ha spianato la strada a un circo elettorale pittoresco anche per gli standard brasiliani. «Tutti sanno che le prossime saranno delle elezioni pazze», ha detto Oliver Stuenkel, assistente alla cattedra di relazioni internazionali della fondazione Getulio Vargas, una business school e centro studi brasiliano.
Negli ultimi sondaggi Lula – che dovrà affrontare un processo per corruzione e riciclaggio di denaro che potrebbe farlo finire in carcere per diversi anni – è in vantaggio, seguito da vicino da Jair Messias Bolsonaro, un ex paracadutista dell’esercito che rappresenta Rio de Janeiro alla Camera dei Deputati brasiliana dal 1990, ma che si presenta come un outsider anti-establishment. Tra le altre cose Bolsonaro è famoso per aver detto a una collega durante un litigio in aula alla camera che non si meritava nemmeno di essere stuprata da lui (Bolsonaro ha poi detto a un giornale che voleva dire che la donna era brutta e non era il suo tipo, aggiungendo successivamente che il suo era sarcasmo). Bolsonaro vuole reintrodurre la pena di morte, allentare i controlli sulle armi e tenere fuori dal paese la «feccia» migrante. Durante il voto per l’impeachment di Rousseff ha dedicato il suo voto al colonnello che quarant’anni fa autorizzò la tortura dell’ex presidente e di altri esponenti della sinistra brasiliana.
«È una cosa molto simile al fenomeno Trump», spiega Alessandra Orofino, direttrice esecutiva di Nossas Cidades, una coalizione di organizzazioni non governative che si occupano di politica. «Il fatto che una persona come Bolsonaro parli in pubblico nel modo in cui parla lui e rimanga comunque una personalità importante e un politico dà legittimazione alle persone che in Brasile coltivano questo tipo di rabbia. E ce ne sono molte». Bolsonaro, infatti, si è paragonato a Trump, sottolineando come entrambi siano delle persone «esplosive». Nel 2015 ha pubblicato su Instagram e Twitter una foto di se stesso mentre fa delle flessioni in spiaggia con addosso un sunga (un costume da bagno attillato), scrivendo di volersi preparare per il 2018.
Anche il neoeletto sindaco di San Paolo, Joao Doria Jr., è molto popolare e ricco, ma a differenza di Bolsonaro non è un fan del nuovo presidente americano. «Non mi identifico assolutamente in lui», ha detto Doria, che è un ex giornalista, proprietario di una società di marketing, autore di diverse guide per arricchirsi velocemente – tra cui una intitolata Successo con stile – ed editore della rivista Caviar Lifestyle, che si occupa di caviale. Dal 2010 al 2011 Doria ha anche condotto O Aprendiz. «Non sono un politico», ha detto al programma televisivo Roda Viva dopo essere stato eletto sindaco di San Paolo con il Partito Socialdemocratico, «la mia anima non è politica. Non sono di destra né di sinistra. Sono un brasiliano». È stato questo, insieme alla promessa di combattere la criminalità dilagante e di occuparsi di un sistema sanitario pericolosamente danneggiato, a colpire nel segno: Doria, che ha 59 anni, ha ottenuto una storica vittoria al primo turno, conquistando tutti le circoscrizioni a eccezione di due, sia nel ricco centro di San Paolo che nella periferia impoverita, i cui abitanti potrebbero essere stati persuasi dalla promessa populista di obbligare in qualche modo gli ospedali privati ad aprire le porte al pubblico di notte in modo da liberare le liste di attesa negli ospedali gestiti dalla città.
A San Paolo i poveri sono molti e i mezzi di informazione brasiliani si sono accaniti sulla passione di Doria per i maglioni di cashmere e il suo disgusto per i pasteis, uno snack da strada fritto. Gli elettori, però, non ne hanno tenuto conto. Nonostante Doria abbia detto di non volersi candidare alla presidenza l’anno prossimo, gli analisti non ne sono così sicuri e i suoi sostenitori adoranti non vogliono credere che sia così. «Vincerebbe le elezioni», ha detto il 22enne Jorge Lopez servendo una spremuta d’arancia in un bar del centro di San Paolo, una zona degradata della città che Doria ha promesso di ripulire. Mentre spiegava la sua devozione per il sindaco, le parole di Lopez ricordavano quelle pronunciate da molti americani sul conto di Trump: «Doria non è coinvolto nella politica. I soldi ce li ha già e quindi non ha bisogno di rubare».
Altri potenziali candidati stanno saggiando il terreno. Roberto Justus, un miliardario che ha condotto O Aprendiz dal 2004 al 2009 e nella stagione a cavallo tra il 2013 e il 2014, ha raccontato al giornale O Estado de S. Paulo che sta considerando l’idea di candidarsi alle presidenziali. Justus, che ha 61 anni, si è arricchito lavorando nel settore delle pubbliche relazioni e ha avuto una breve carriera come cantante che nel 2008 lo ha portato a pubblicare un disco, So Entre Nos (“solo tra di noi”). «Dobbiamo togliere la gestione del paese dalle mani dei politici», ha detto Justus in un’intervista, abbozzando un programma che prevedrebbe la vendita delle imprese statali del Brasile, come il gigante petrolifero Petroleo Brasileiro.
A Planaltina, Valda Rodrigues de Sousa ha detto che l’affabile Justus è l’unica persona in grado di strappare il suo voto a Lula. «Tutto quello che fa funziona», ha detto Rodrigues, che vive con Santos – l’assistente di cucina – in una casa sulle cui pareti intonacate è appesa una sola foto, scattata nel 2015, il giorno in cui ha ottenuto il diploma a 39 anni. Quello è stato il momento di cui va più fiera. Quello che l’ha resa più felice risale invece al 2002, quando Lula fu eletto presidente. Lula era una persona povera come lei che ce l’aveva fatta. «Sono corsa in strada e ho urlato di gioia», ha raccontato. Il suo affetto per Lula e per il Partito dei Lavoratori è calato insieme all’economia. Almeno il 10 per cento dei 35 milioni di brasiliani che erano riusciti a uscire dalla povertà nel decennio finito nel 2014 è tornato povero. Negli ultimi due anni in Brasile la disoccupazione è quasi raddoppiata. La classe media è in grande difficoltà.
In Brasile oggi chiunque sia abbastanza famoso, ricco e capace di sfruttare la frustrazione nazionale è potenzialmente in grado di competere con i politici più tradizionali che potrebbero candidarsi alle presidenziali. Roberto Miguel Rey, il chirurgo plastico, ha già detto che ha intenzione di provarci, nonostante in passato la sua candidatura al Congresso sia fallita miseramente.
«Darò una speranza a questa generazione», ha detto recentemente firmando delle copie della sua autobiografia in un resort di lusso sulla spiaggia di Buzios, che in passato fu uno dei posti preferiti da Brigitte Bardot. Rey, che ha 55 anni, è nato a San Paolo ed è cresciuto negli Stati Uniti. Il suo studio è a Beverly Hills. Come Doria e Justus, ha fatto anche televisione: dal 2004 partecipa al reality show Dr. 90210, trasmesso dal canale americano E!. I sondaggisti non si sono nemmeno presi la briga di rilevare il suo sostegno. Secondo Santos, però, a questo punto nessuno dovrebbe essere escluso: «Perlomeno potrebbe far diventare il paese più bello».
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