Perché l’Amazzonia sta bruciando?


Gli incendi in Amazzonia sembrano suscitare meno clamore dopo la mobilitazione internazionale — e le misure straordinarie messe in atto dal presidente Jair Bolsonaro, che ha inviato 44 mila soldati nella foresta — ma proprio a settembre l’emergenza rischia di diventare più feroce. Normalmente, stima il World Resources Institute, il 62% dei fuochi di ogni anno nella foresta pluviale è appiccato a settembre.

Le queimadas, cioè i fuochi usati da agricoltori e allevatori per ricavare nuovi campi e pascoli, o per rigenerarli, sono la causa principale della deforestazione in Amazzonia: l’80%, secondo un istituto di ricerca forestale dell’università di Yale, viene appiccato per lasciare posto a pascoli; un altro 10-15% a coltivazioni intensive, soprattutto di soia (molto usata per produrre mangimi). Un fenomeno legato all’amministrazione Bolsonaro? Non proprio. Basta un occhio alle serie storiche per notare che la deforestazione dell’Amazzonia procede dal 1972 — cioè da che fu ultimata l’autostrada Transamazzonica — e che negli ultimi quarant'anni la superficie coperta da foresta si è ridotta del 20%.

Il governo Bolsonaro

Eppure l’emergenza di quest’estate è la peggiore da molti anni: rispetto all'anno scorso i fuochi appiccati sono il 39% in più; e da quando Bolsonaro è al governo, cioè dal 1 gennaio 2019, la foresta ha perso quasi 3.500 km quadrati di superficie. Il presidente — il primo, di una lunga serie di governi più o meno efficaci sul fronte della conservazione dell’Amazzonia, a opporsi apertamente alle politiche ambientaliste — aveva promesso in campagna elettorale di allentare i vincoli ambientali a vantaggio di agricoltura intensiva e allevamento, e così ha fatto. Per un’inchiesta del New York Times, che ha spulciato registri delle polizie locali e della guardia forestale, i controlli del 2019 sono calati del 20% rispetto allo scorso anno. Le politiche ambientali influenzano la serie storica degli incendi in modo quasi immediato: è del 2009, ad esempio, la legge che abbatté la deforestazione escludendo dai crediti agevolati i contadini e gli allevatori delle zone più depauperate, e il calo dei fuochi è evidente dal 2011. È in corso dal 2015 un lento riaggravarsi della deforestazione: dovuto, spiega un report dell’Earth Innovation Institute, a «un aumento mondiale della domanda di olio di palma, carne e soia».


La domanda di carne

«L’allevamento in Brasile, date le grandi superfici, è a bassissima densità: ci sono aree con un bovino solo per ettaro. Di rado le aree erbose vengono concimate, e per rigenerarle è necessario appiccare il fuoco», spiega un rapporto della Yale School of Forestry and Environmental Studies. Circa 450 mila chilometri quadrati di Amazzonia deforestata sono destinati a pascoli. Il Brasile, secondo produttore mondiale di carne bovina, ne esporta un quarto del consumo globale. Il dato, fra il 2010 e il 2017, è aumentato del 25%, per arrivare ai 1,5 milioni di tonnellate l’anno dichiarati oggi dall'associazione degli esportatori brasiliani di carne. Hong Kong e la Cina, due mercati esplosi negli ultimi anni, sono i principali importatori. Nella classifica c’è anche l’Italia, che beneficia dell’accordo commerciale Ue-Mercosur stretto il 28 giugno scorso, che riduce dazi e imposte commerciali fra i due continenti. Si stima che le esportazioni di carne bovina verso la UE aumenteranno del 30% (e, in direzione opposta, aumenteranno gli export verso l’America Latina di auto di grande cilindrata).

Il Sinodo per l’Amazzonia

Interessi, questi, più tangibili di quelli della foresta: della sua biodiversità — ci vivono il 10% delle specie viventi del mondo — e delle tradizioni dei suoi indigeni, che sono solo in Brasile 896 mila, divisi in 360 comunità che parlano 270 lingue. Nei primi giorni dell’emergenza, a inizio agosto, le comunità native sono state le prime a protestare: le donne indigene hanno occupato in corteo le strade di Brasilia. A loro Papa Francesco ha dedicato il prossimo Sinodo, dal 6 al 27 ottobre. Si parlerà di «ecoparrocchie» e di ambiente, ma anche di «trovare nuove vie per l’evangelizzazione di quella porzione del popolo di Dio».

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