Paradosso Lula


Il problema di questo paese non sono i politici, né la violenza o altre grave complicazioni. Il problema maggiore é proprio questo popolo senza giudizio, giusto per essere un po' diplomatici. Certo peró che chiamare Bolsonaro di "pericoloso fascita" denota la grande intelligenza di questo giornalista.

Come si immaginava da tempo, dunque, le elezioni presidenziali brasiliane del prossimo 7 ottobre avranno un candidato immaginario, il cui nome non ci sarà sulla scheda (anzi, nell’urna elettronica). Peggio ancora: il nome escluso per ordine dell’authority elettorale è quello del front runner, primo nei sondaggi senza dubbi o margini di errore. Se in Brasile si votasse oggi - e lui fosse dentro la partita - il vecchio Lula avrebbe oltre il 30 per cento dei consensi, più del doppio del secondo collocato. Antidemocratico? E’ giusto o sbagliato tener fuori il probabile vincitore? 

Se in Brasile a gridare al complotto giudiziario-mediatico (ricorda qualcosa?) ci sono soltanto i militanti del Partito dei lavoratori e qualche intellettuale della vecchia guardia, nel resto del mondo le voci che si sono alzate contro l’esclusione di Lula dalla partita elettorale sono assai più variegate. Da uomini della sinistra italiana ed europea, al Comitato per i diritti umani dell’Onu e ha detto la sua persino un autorevole commentatore del New York Times, l’ex cancelliere messicano Jorge Castañeda. Qualcuno fonda il suo argomento sulla presunta ingiustizia della condanna di Lula, altri sulla tesi che in democrazia il giudizio del popolo debba qualche volta prevalere su quello dei giudici (anche questo argomento dalle nostre parti è risuonato a lungo, con la politica italiana è rimasta ostaggio per anni dei problemi giudiziari di Berlusconi).

Lula ha certamente ricevuto una condanna spropositata, dodici anni di galera per aver quasi accettato un appartamento in regalo da una società di costruzioni. Nessun politico italiano è mai stato dentro nemmeno per un giorno, nonostante le nostre cronache giudiziarie di favori del genere siano state gonfie per anni. 

Ma gli innocentisti, i favorevoli al suo ritorno alla presidenza e alla competizione elettorale, dimenticano troppo nella loro appassionata difesa. Esistono evidenze, e altri tre processi già avviati, che Lula di favori dalle grandi imprese brasiliane ne abbia ricevuti parecchi. Dalla ristrutturazione di una casa di campagna, a un appartamento adiacente a quello della sua famiglia totalmente nella sua disponibilità, fino ad un terreno per costruire la sede dell’istituto che porta il suo nome e una raffica di conferenze sponsorizzate e molto ben pagate. E c’è soprattutto il cuore della grande inchiesta Lava Jato, la Mani Pulite brasiliana. 

Il Pt, partito fondato da Lula trent’anni fa e che lui comanda indisturbato da allora, persino da dietro le sbarre, ha più che certamente sottratto decine di milioni di dollari al colosso petrolifero Petrobras, attraverso mazzette in cambio di commesse. Qui ci sono prove schiaccianti, politici e imprenditori di primo piano in galera, condannati e rei confessi, compresi alcuni alleati storici di Lula. Nessuno può seriamente credere al fatto che il dominus del partito, e allora presidente della Repubblica conosciuto nel mondo, non ne sapesse nulla. 

Lula non ha sub¡to alcuna condanna per le mazzette Petrobras, è vero, e prove che portano al vertice della piramide i giudici ne hanno trovate poche e fragili. Ma la responsabilità oggettiva e politica di tutto questo - forse ancor più dei favori personali ricevuti - doveva essere più che sufficiente affinché Lula facesse comunque un passo indietro e smettesse di tenere ostaggio l’intera sinistra della terza democrazia del mondo come fosse un feudo personale. Ma né lui, né i suoi militanti hanno avuto il coraggio di farlo. E ora il Brasile può finire nelle mani di un pericoloso fascista come l’ex militare Jair Bolsonaro.

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