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O Trumpino


Com'è la destra del “capitano” Bolsonaro, detto anche O Trumpino, il piccolo Trump, che al 99%, nel secondo turno del 28 ottobre, sarà presidente del Brasile, che dal 2003 è stato governato dalla sinistra cara ai salotti europei? Estrema, ultra, naturalmente, e lui e’ misogino, bigotto, omofobo, razzista, fascista. 
Che poi lo abbia votato il 46% abbondante dei brasiliani, nonostante i candidati fossero addirittura 13, nonostante una campagna furibonda di discredito nazionale e internazionale al grido di “Ele nao”, in testa femministe arrabbiate come quelle del me too nordamericano, tutti tranne lui, abbia martellato, nonostante le alte grida e gli appelli furibondi di attori e cantanti Hollywood style, nonostante la campagna elettorale l'abbia fatta da un letto d'ospedale con l'intestino lacerato dalle coltellate di un ammiratore di Lula, non viene preso in grande considerazione dai cronisti, inviati e commentatori del giorno dopo sui giornaloni è in tv. 
Anzi qualcuno si attacca alla speranza, scrivendo che non è riuscito a vincere al primo turno, cioè a superare il 50%. Però dimentica di dire che i sondaggi fino a venerdì lo davano solo al 33%, quindi il risultato è eccezionale.
Molti ricordano che intende cambiare le leggi sulla legittima difesa, garantire maggior accesso alle armi di difesa per i privati, potenziare la lotta al crimine che vede il Brasile in testa alle classifiche negative con 175 morti ammazzati al giorno. Insomma, la richiesta di sicurezza anche pagando qualche prezzo, magari un po' meno liberi però vivi, a quanto pare è una richiesta molto popolare nel mondo, come quella di nuova classe dirigente che non abbia come attività prediletta la svendita della nazione. 
L'autoritarismo e’ il fantasma evocato da tutti. Nel senso che starebbe per finire anche lì come negli Stati Uniti con Donald Trump, come in Italia con Salvini, come in mezza Europa. Populisti all'attacco della democrazia, rappresentata in questi casi da un'elite che di tutto si assolve tranne che del peso e delle ragioni di una sconfitta che dilaga ormai in mezzo mondo. 
Bolsonaro è un ex capitano dell'esercito che ha servito come legislatore federale per sette mandati consecutivi. E’ figlio di immigrati italiani, lui veneto, lei toscana. E’ un conservatore, difende valori tradizionali della famiglia e della nazione, al centro del suo programma politico c'è la promessa di restaurare l'ordine pubblico e combattere la corruzione. La sua agenda economica e’ invece liberale, non intende toccare le aziende di Stato che funzionano e che sono strategiche, ma privatizzare quelle corrotte, e decentrare, eliminare la burocrazia soffocante, riformare il sistema delle pensioni costoso inefficiente, ridurre le tasse. Promette di fare uscire il Paese dalla peggior recessione mai conosciuta.
Il suo principale consigliere economico, Paulo Guedes, formato nelle migliori pratiche di mercato dall'Università di Chicago, sarà probabilmente nominato ministro dell'Economia, lui e Bolsonaro sono giudicati positivamente dai mercati internazionali. 
Perciò se il 28 ottobre Bolsonaro dovesse vincere, potremmo assistere a un rialzo degli asset brasiliani, come è accaduto dopo le elezioni in Messico, quando gli investitori hanno capito che il populista Manuel López Obrador non sarebbe stato negativo per l’economia, al contrario. Intanto la Borsa ha festeggiato.
I brasiliani hanno votato per cambiare. Ci sperano almeno. Ne escono in grave crisi I partiti tradizionali, centristi e socialisti, MDB, PSDB allo sbando, il PT, il famoso partito dei lavoratori di Lula, l'ex presidente ora in galera, ancora pupillo delle elite italiane, si salva solo perché mantiene le roccaforti del nord est povero ed arretrato. Il PSL di Bolsonaro, Partito Socialista liberale, prende deputati e senatori in tutto il Brasile, partendo quasi da zero. Eletto con un pieno di voti anche il figlio del candidato presidente. 
I brasiliani hanno votato per cambiare e hanno punito aspramente i responsabili del disastro delle sinistre, e anche se il PT resta in piedi come partito dei diseredati, basterà che un Bolsonaro finalmente rimessosi in salute, vada lì a rassicurare e promettere lavoro e sviluppo per assicurarsi probabilmente la vittoria nelle tre settimane che mancano per il secondo turno.
È stato un sano voto di stanchezza e di rivolta che ha portato alla debacle  dei maggiori partiti tradizionali, responsabili di crimini di corruzione e di disastro economico, una specie di svendita della nazione. Ma in testa alle richieste popolari è stata l'esigenza di sicurezza e ordine pubblico, e solo Jair Bolsonaro ha dimostrato di avere le credenziali per promettere l’una e l'altro  
Lo sconfitto, Fernando Haddad, già sindaco di San Paolo, nominato in corner da Lula e dai suoi per tentare di salvare il potere, quando l'ex presidente ha capito di non potersi candidare e fare campagna dal carcere dove sconta a 12 anni per aver guidato una corruzione di Stato gigantesca, sta chiamando a raccolta tutti gli altri candidati perdenti per fare massa con il suo 29%.
Ma otterrà soprattutto un record di astensioni, mentre un nuovo partito anticorruzione, che si chiama proprio Novo, e ha ottenuto un ottimo risultato, si schiera già con Bolsonaro, la cui vittoria è prevista intorno al 60% dei voti. 
Sì è molto detto che l'attentato al candidato sia stato il vero volano della sua campagna elettorale, che, ricordiamocelo, al pari di quelle sovraniste populiste inaugurate da Donald Trump, ha saltato i corpi intermedi della stampa e dell'editoria per rivolgersi direttamente attraverso Facebook, Twitter, e WhatsApp che i brasiliani usano massicciamente. 
Sì che l'indignazione seguita l'attentato abbia favorito nei consensi il candidato outsider, ma solo perché non è morto. E doveva morire. 
Jair Bolsonaro non è morto solo perché è stato soccorso con grande tempestività e portato all'ospedale di Juiz De Fora, moderno e tecnologicamente all'avanguardia. All'arrivo in ospedale la sua pressione era quasi zero e aveva perso circa il 40% del  sangue. 
Una sola coltellata ha perforato l'intestino tenue in tre punti differenti, ha rotto l'intestino crasso separandolo in due, producendo lo spargimento delle feci in tutto l'addome. Si è anche rotta l'arteria mesenterica, e da questa arteria ha perso il sangue.
L'attentatore impugnava il coltello il cui manico era stato avvolto in un panno. Nel caso in cui fosse riuscito a fuggire, non sarebbe stato possibile rintracciare le sue impronte digitali, e questa non sembra la precauzione di un folle. 
Al momento dell'attentato, l'attentatore aveva una maglietta. Subito dopo, nel trambusto che segue, la maglietta scompare e l'uomo riappare con un giubbotto leggero senza più maglietta, sulla quale alcuni testimoni hanno affermato che c'era la scritta: Lula libero". 
Appena in carcere, è stato raggiunto da un avvocato difensore. Mandato da chi? .
Prove del coinvolgimento del partito di Lula non ce ne sono, sospetti sì. Ma chi è il sindacalista rozzo e  illetterato, ma furbo e demagogo, detto polipo, lula, per una mano malamente mutilata sul lavoro, che ancora incanta gli intellettuali occidentali? 
La crisi della nuova democrazia brasiliana sorta dalle ceneri della dittatura caduta nel 1985, portò molti brasiliani anche di classe media e medio-alta, nauseati dai continui scandali politici, a votare il Partito dos Trabalhadores, che si presentava come un partito nuovo, pulito, diverso dai partiti corrotti dei notabili e dei "coroneis" che avevano spadroneggiato.
Era il partito del sindacalista Lula e di una classe dirigente venuta fuori dagli anni di lotta clandestina contro il regime dei militari. Nel corso di alcune legislature e di alcune elezioni presidenziali, il PT si rafforzò e la figura di Lula si impose fino a portarlo nel 2002 alla Presidenza del paese. 
Ma negli 8 anni dei suoi due mandati, e nei 6 anni dei successivi mandati di Dilma Roussef , sua pupilla, praticamente un clone più fesso, interrotti a metà del secondo mandato per un processo di impeachment, Lula e il suo partito ,hanno rubato a man bassa con spregiudicatezza dalle casse di tutte le aziende di stato riducendole sul lastrico e riportando indietro di vent'anni, 11 milioni di altri disoccupati, un Paese che, grazie al boom dei prezzi delle materie prime, sembrava aver iniziato finalmente il passaggio verso il primo mondo. 
Altro che i paragoni con Di Pietro del giudice che li ha sbugiardati, altro che mani pulite ai Tropici, il garantismo in questo caso non c'entra. Se Jair Bolsonaro, uscito indenne come parlamentare e politico dagli scandali, ha costruito su questo la sua scalata da outsider, difficile dar torto a chi lo ha votato ieri e di nuovo lo voterà fra tre settimane.
Per i nostalgici della sinistra latinoamericana, c'è sempre un biglietto per il Venezuela. Un rotolo di carta igienica al costo di un salario mensile. Auguri.
Fonte: Dagospia

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