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Democrazia immatura


23 ANNI PER TORNARE AL PASSATO – Oggi come in un passato non troppo lontano, il Brasile è in una situazione di forte divisione. Il voto di domenica 17 aprile, sebbene abbia visto il SI’ prevalere con più dei 2/3 necessari, evidenzia una frattura politica che non si registrava nel 1992 quando il presidente della Repubblica Fernando Affonso Collor de Mello fu deposto dal suo incarico per riciclaggio di denaro con l’obiettivo di finanziare la sua campagna elettorale.  Le guerre interne ai governi brasiliani sono di casa a Brasilia, addirittura a condannare politicamente l’ex presidente Collor fu l’imprenditore Pedro Collor, suo fratello, che raccontò ai giornali gli oscuri finanziamenti gestiti dal tesoriere della campagna elettorale di Fernando Collor, Paulo César Farias.

Un ritorno al passato che attraversa scenari economici tenebrosi ma diversi, sebbene il Brasile stia vivendo una profonda recessione. All’inizio degli anni ’90 l’inflazione aveva toccato picchi del 2500% annuo, il Cruzado, moneta nazionale aveva subito svalutazioni ben più forti di quelle che vive il Real oggi, e cosa che i brasiliani ricordano con orrore, il Presidente della Repubblica aveva fatto bloccare tutti i conti bancari e introdotto forti restrizioni al prelievo di denaro. Risultato? L’inflazione non diminuì e il popolo cominciò ad odiarlo profondamente. Era l’epoca delle privatizzazioni e delle de-statalizzazioni in Brasile e in altri paesi del Sud America, operazioni che non portarono i risultati sperati. Anche il sistema politico differiva da quello di oggi. Esistevano molti meno partiti, e sopratutto Collor aveva una base parlamentare ben più limitata di quella della Rousseff oggi. La società delle cosiddette “caras pintadas” era unita contro Collor,  cosa che non avviene oggi e il dopo impeachment prometteva, con Itamar Franco, almeno una ritrovata stabilità politica; altro fatto sul quale non possiamo esporci positivamente visto le accuse che pendono sul vice della Dilma, Michel Temer.

In 23 anni, dunque, il parlamento brasiliano ha votato due volte per la messa in stato d’accusa del Presidente della repubblica, quasi un record per un paese che vuole definirsi democrazia occidentale. L’ex Presidente della Repubblica, il socialdemocratico Fernando Henrique Cardoso, in carica fino al 2003, ha rigettato la parola “immatura” per definire la 6° repubblica brasiliana, ma ha descritto il parlamento come “un’assemblea popolare e di basso profilo“, ribadendo però che non c’è un rischio di golpe e che il procedimento di impeachment ha seguito le normative costituzionali.

LE SPINTE INTERNE ED ESTERNE AL CAMBIAMENTO POLITICO – Senza dover scomodare le teorie del complotto, questo impeachment sembra un gesto soprattutto politico, che segna il culmine e la conseguente caduta di una gestione governativa “sgangherata” che poneva le basi sui forti slanci economici della prima decade del 2000, slanci che non hanno però fatto cogliere ai governi a guida PT le opportunità per sviluppare altri settori industriali meno condizionati dai prezzi internazionali delle materie prime. Allo slancio, sostanzialmente, non ha fatto seguito lo sviluppo di un’economia strutturata e diversificata.

Il primo spunto interessante, ricavato da un’articolo di Forbes, è la volontà di fare luce sul percorso che porta all’impeachment, ovvero qual è il nesso fra tutti gli scandali legati alla Petrobras e la presunta falsificazione del bilancio dello stato? Quali gli interessi nazionali che portano a questa decisione? Secondo Forbes ci sono interessi interni che hanno condizionato l’accelerazione del procedimento di impedimento, tanto è che nella votazione alla camera dei deputati quasi nessuno è entrato nel merito della questione per la quale la Presidente è accusata.  Tema ripreso anche da Leftvoice, il quale parla di una vera e propria battaglia fra gli schieramenti politici il cui obiettivo è nascondere le proprie malefatte tirando in ballo uno scandalo dell’avversario più grande di quello legato al proprio partito.

Nei fatti, sta succedendo questo: quasi tutti i partiti al governo hanno figure di rilievo indagate, inclusi vice Presidente della Repubblica, Presidente della camera, Presidente del Senato, indagati sono anche altri esponenti dell’opposizione, incluso Aecio Neves citato per quattro volte nelle investigazioni della Lava Jato, ancora in corso.

Altra faccia della medaglia di questa storia, forse meno conosciuta anche perché appoggiata dai sostenitori di posizioni populiste latino americane (populismo in senso politologico-storico e non in accezione dispregiativa), è quella che mostra l’impeachment dal punto di vista della destabilizzazione del Brasile e delle svolte politiche che in alcuni Paesi latini sono già compiute, vedi Argentina. In Sudamerica una certa posizione in difesa del governo brasiliano è partita dai sostenitori storici di posizioni “socialisteggianti” e progressiste in generale; i governi di Venezuela, Bolivia, Ecuador, Uruguay e anche Argentina hanno espresso il loro appoggio a DilmaTelesur, un’organizzazione televisiva venezuelana e pana-latinoamericana che spiega come l’opposizione guidata dal Psdb abbia accostato con tutti i mezzi a disposizione il grande scandalo della Lava Jato al Pt e alla Presidente Rousseff.

PROSPETTIVE INCERTE PER IL POST DILMA – Quello che ci si aspetta è un governo con i numeri contati e con una debolezza endemica, data dal fatto che il successore di Dilma Rousseff sarà Michel Temer, l’attuale vice presidente, anch’egli coinvolto nelle investigazioni dell’operazione Lava Jato che non gode affatto di alta popolarità. Dettaglio che si differenzia rispetto al post Collor quando fu Itamar Franco, con un’immagine ben più discreta di quella di Michel Temer, a prendere la guida del governo.

Si parla già del compito di recuperare la credibilità per attirare gli investimenti esteri che hanno abbandonato il Paese in questi ultimi due anni, crollando del 23% solo nel 2015. Ma sembra l’ennesimo passo falso. Infatti il Brasile, come quasi tutti gli altri paesi dell’ America latina, ha bisogno di sviluppare un’economia indipendente dal flusso di IDE (investimenti diretti esteri) per il suo sistema produttivo. Un sistema che dovrà concentrarsi sulla gestione interna del credito a supporto delle imprese nazionali.


Temer, intanto, nelle sue frequentazioni a San Paolo sta facendo le prove per il governo che sarà dopo l’11 maggio, ovvero dopo la votazione al senato, che, probabilmente, lo vedrà assumere l’incarico di Presidente della Repubblica. Le sue chiacchierate con gli ex ministri non lo hanno rilanciato e, a nostro modo di vedere, la promessa di voler cambiare tutto il sistema ministeriale, amministrativo e politico brasiliano sembra alquanto ardita e irrealistica. Inoltre, dovrà vedersela con le 15 condizioni del Psdb per ottenere da questo il sostegno politico del nuovo governo.


In tutta l’America Latina si assiste ad un cambiamento di indirizzo politico, crollano quei governi che sembravano aver aiutato lo sviluppo sociale, governi che hanno anche ottenuto dei risultati interessanti nella battaglia degli ultimi, ma che sembrano ora in gravi difficoltà economiche (Venezuela e Brasile in particolare) e che dovranno rivedere la gestione degli aiuti sociali e probabilmente inaugurare una nuova fase di aumenti di tasse, cosa che in Brasile sta già accadendo.


Fonte: Il Caffè Geopolitico

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