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La cultura dimenticata


Io sono fiero del mio Paese. Lo sono sempre stato, ma da quando sono emigrato in Brasile questo mio amore e orgoglio per l’Italia é aumentato a dismisura. E una delle cose che sempre mi ha reso fiero del mio Paese é l’immensità della sua storia e cultura. Penso che non esista al mondo un altro Paese così ricco di vestigia storiche, di personaggi culturalmente importanti e di preziosi manufatti artistici. Eppure tutto questo sembra che interessi poco o niente proprio a noi italiani. Forse perché viviamo così perennemente a contatto con arte e storia che ormai non ci facciamo più caso. Forse per chi vive a Roma non interessa che il Colosseo sia il più famoso anfiteatro romano e che fu inaugurato nel 80 d.C. Forse per un romano questo grandioso edificio storico non é nient’altro che una gigantesca rotonda tra i Fori Imperiali. E per uno studente del Liceo, Dante o il Rinascimento non é nient’altro che una noiosa materia di studio. Ma io trovo questo “nostro” atteggiamento un vero spreco di materiale prezioso. Abbiamo nel nostro Paese gioie di valore inestimabile, ma sembra che ci divertiamo a ignorarle o, peggio ancora, a non darle il giusto valore. Non c’é artista, archeologo, studioso o anche semplice cittadino che non invidi noi italiani per tutto quello che abbiamo. Ma sembra che tutto questo non importi a nessuno. Quando sapremo dare il giusto valore a quello che l’Italia ha da offrire al mondo intero?

La bella Italia che non seduce gli italiani

Dopo il caso Dante-Dan Brown: perché le glorie del nostro passato ispirano solo gli stranieri?

di MASSIMO GRAMELLINI

E così, dopo aver visitato la Roma dei Papi e il mondo esoterico di Leonardo, nel nuovo thriller di Dan Brown si passeggia tra le strade di Firenze e le pagine infernali di Dante. Dan Brown non sarà un maestro di stile, ma è un’autorità indiscussa in materia di fatturato. Se ogni volta mette l’Italia sullo sfondo dei suoi polpettoni è perché sa che l’Italia fa vendere in tutto il mondo. Non l’Italia di oggi, naturalmente, mediocre sobborgo d’Occidente come tanti altri. L’Italia del passato: le città d’arte del Rinascimento e l’Antica Roma. Gli unici due momenti della storia in cui siamo stati la locomotiva dell’umanità.

E a questo punto, ossessiva, scatta la solita domanda: perché? Perché, se l’Italia fa vendere, a guadagnarci devono essere sempre gli altri? Perché i miti del passato italiano affascinano gli scrittori e i registi stranieri, ma non i nostri? 

Al di là delle letture dantesche di Benigni, che sono un’eccezione magnifica ma non esportabile, perché l’Inferno ispira romanzi a Dan Brown e non a Sandro Veronesi (cito lui in quanto bravo e pure toscano), tantomeno al sottoscritto che al massimo potrebbe narrare le imprese di Pulici e Cavour? Perché i telefilm sui Borgia li fanno gli anglosassoni e non un pronipote di Machiavelli? Perché le gesta del Gladiatore sono state narrate da Ridley Scott e non dall’epico Tornatore? Persino lo scrittore-archeologo Valerio Massimo Manfredi, nonostante qualche incursione sporadica nella romanità, preferisce mettere al centro delle proprie saghe i greci Alessandro e Ulisse. Se la tomba dell’eroe di Russell Crowe, scoperta tre anni fa lungo la Flaminia, si trasformerà in un’attrattiva turistica sarà per merito delle associazioni straniere che stanno raccogliendo i fondi necessari al restauro, nel disinteresse impotente del ministero della Cultura, che in Italia dovrebbe contare quanto quello del petrolio in Arabia Saudita, mentre l’opinione comune lo considera una poltrona di serie B.

Ma questo rifiuto pervicace di dare al mondo l’immagine dell’Italia che piace al mondo non riguarda solo gli artisti e i politici. Investe tutti noi. Un bravo psicanalista ci troverebbe materiale per i suoi studi. Sul lettino si dovrebbe sdraiare una nazione intera che si rifiuta orgogliosamente di essere come la vogliono gli altri e desidera invece con tutte le sue forze conformarsi al modello globale, condannandosi alla marginalità. Per quale ragione il passato che affascina e stimola la curiosità e l’ammirazione di turisti cinesi e best-selleristi americani ci risuona così pigro e indifferente? Perché rifiutiamo di essere il gigantesco museo a cielo aperto, arricchito da ristoranti e negozi a tema, che il mondo vorrebbe che fossimo? Forse è presbiopia esistenziale. 

L’antica Roma e il Rinascimento, incanti da esplorare per chi vive al di là dell’Oceano, per noi che ci abitiamo in mezzo si riducono a scenari scontati: le piazze del Bernini sono garage e il Colosseo uno spartitraffico. O è la scuola che, facendone oggetto di studio anziché di svago, ci ha reso noioso ciò che dovrebbe essere glorioso. Ma forse la presbiopia e la scuola c’entrano relativamente: siamo noi che, per una sorta di imbarazzo difficile da spiegare, ci ostiniamo a fuggire dai cliché - sole, ruderi, arte e buona tavola – a cui il mondo vuole inchiodarci per poterci amare e invidiare.

L’Italia capitale universale della bellezza e del piacere è l’unico Paese che può scampare al destino periferico che attende, dopo duemila anni di protagonismo, la stanca Europa. Ma per farlo dovrebbe finalmente accettare di essere la memoria di se stessa. Serve una riconversione psicologica, premessa di quella industriale. Serve un sogno antico e grande, mentre qui si continua a parlare soltanto di spread. 

fonte: La Stampa

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3 Commenti

  1. A scuola odiavo, fortemente odiavo, Dante, Iliade, Odissea, tutte le poesie, i Promessi Sposi erano il mio incubo.

    Poi sono invecchiato, ho ascoltato Gassman prima, Benigni dopo, leggendo, spesso citando a memoria, l'opera di Dante Alighieri, e poi ho ripreso in Mano i Promessi Sposi e testi di poesie, riscoprendo un mondo che mi era nascosto dalla cecità degli insegnati, i quali pretendevano che gli studenti ripetessero a memoria interi testi di cui non afferravano il significato.

    Questo per dire che non è colpa dell'italiano medio questo disinteresse per la cultura e la storia locale. La colpa è stato il metodo di insegnamento, che faceva odiare agli studenti pagine che devono essere degustate, centellinate, come un buon vino, e non ingurgitate a forza come il piombo fuso versato nelle gole dei presunti eretici durante le torture dell'Inquisizione.

    Questo è il grave errore del politicamente corretto, del tutti uguali, quando invece gli esseri umani sono unici nella loro personalità, intelligenza, conoscenza.

    Se non cambia la mentalità di chi deve istruire le giovani menti, questa mancanza di amore per il bello potrà solo aumentare.

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  2. Nelle mie pagelle delle Medie spicca un bel 3 (tre) in Storia, ma un 8 in geografia. Questo dimostra la mia grande ignoranza e poca voglia di studiare, ma anche l'interesse che avevo fin da giovani per quello che esisteva fuori dall'Italia. Poi col tempo un poco é cambiato, e ora adoro leggere libri storici e biografie. Quindi la mia ignoranza é rimasta tale e quale, ma il mio interesse é aumentato.

    Perché questo? Forse perché studiare la storia non era piú un obbligo, ma un piacere nel sapere cosa fosse successo in quel tal periodo o in quella determinata persona. O forse perché i libri che leggo e sto leggendo trattano tale materia in modo diverso e meno noioso.

    Quindi forse, caro Giancarlo, tu hai ragione, e sarebbe un'ottima cosa che i vari scrittori di libri scolastici o lo stesso Ministero dell'Educazione rivedessero il loro modo di insegnamento, giusto per invogliare gli studenti, o qualunque altra persona, a conoscere meglio il proprio paese. Perché, come disse Carla Fracci in una sua intervista:

    "Un paese senza cultura e arte, senza i mezzi per fare cultura e arte, è un paese che non si rinnova, che si ferma e non ha accesso a ciò che succede in paesi più importanti, negandosi così ad un futuro vero, autentico e soprattutto libero."

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  3. Anche io Franco da quando ho avuto l'occasione di passare un periodo della mia vita in Brasile sono ancora più orgoglioso del mio paese, sia per la cultura ma anche per la capacità di fare e la bellezza e varietà dei paesaggi.

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